Elettra, donna del Novecento. Secondo uno studio condotto
da Maria Evelina Santoro, ricercatrice dell’Università degli
studi di Foggia, intitolato ‘Elettra. Ricezione e fortuna
nella cultura tedesca’ (Levante editori), il Secolo breve
sembra essere stato il più adatto ad accogliere e a rielaborare
la figura di Elettra,eroina forte e ferina, ma anche fragile e capace di
grandi sentimenti.Perché, rotti gli argini della rassegnazione, in quest’epoca,
si è dato libero sfogo a sentimenti di disperazione, alla violenza,
ma anche alla volontà di sperare nella felicità e nel cambiamento,
che la figura di Elettra rappresenta. Donna moderna, tormentata,
ma sempre combattiva e libera, non è un caso che
a rielaborarne meglio il mito, nei suoi aspetti più veri,
arcaici eppure modernissimi, sia stata l’opera di Hofmannsthal.
L’ ‘Elektra’ apre il Novecento del Dacadentismo,del pessimismo,
delle due Guerre mondiali. L’elaborazione mitica di Hofmannsthal,
influenzata dal pensiero nietzschiano, parte dall’arcaico,
per poi sganciarsi da esso e rendere la vicenda ancora più terribile,
violenta, in un mondo senza dei, dove l’uomo è lasciato solo di fronte
ai suoi errori e alle sue colpe. Per questo motivo viene introdotto
il mitema della sua morte, preceduta da una danza dionisiaca, ossessiva,
eccessiva, che catalizza tutta la violenza,simbolo ed espressione
della gioia patologica della vendetta ma, allo stesso tempo,
celebrazione di un rito funebre.
Il ventesimo secolo non ha visto solo il ritorno in auge del mito e
della mitologia, ma ne è stato quasi ossessionato, soprattutto
nella cultura germanofona.
Nelle successive elaborazioni, infatti, il mito di Elettra è stato ripreso,
scomposto, ricomposto, modificato, isolato in alcuni mitemi,
completato da altri, ma la storia è rimasta in sostanza sempre la stessa,
illuminata da una luce diversa che, di volta in volta, ha messo
in evidenza o oscurato alcuni aspetti, senza mai stravolgere davvero l’essenza
più autentica che questo mito incarna: il dolore, la sete di vendetta,
ma anche la speranza della felicità.
Il tratto distintivo e comune alle opere della seconda metà del
Novecento è l’utilizzo della tecnica decostruttivista.
Il sovvertimento della struttura linguistica classica è il mezzo che gli autori
hanno utilizzato per rendere il mito di Elettra funzionale all’espressione
della speranza di cambiamento, della rivendicazione femminista,
del rifiuto della violenza e della guerra, della resa e della morte.
da Maria Evelina Santoro, ricercatrice dell’Università degli
studi di Foggia, intitolato ‘Elettra. Ricezione e fortuna
nella cultura tedesca’ (Levante editori), il Secolo breve
sembra essere stato il più adatto ad accogliere e a rielaborare
la figura di Elettra,eroina forte e ferina, ma anche fragile e capace di
grandi sentimenti.Perché, rotti gli argini della rassegnazione, in quest’epoca,
si è dato libero sfogo a sentimenti di disperazione, alla violenza,
ma anche alla volontà di sperare nella felicità e nel cambiamento,
che la figura di Elettra rappresenta. Donna moderna, tormentata,
ma sempre combattiva e libera, non è un caso che
a rielaborarne meglio il mito, nei suoi aspetti più veri,
arcaici eppure modernissimi, sia stata l’opera di Hofmannsthal.
L’ ‘Elektra’ apre il Novecento del Dacadentismo,del pessimismo,
delle due Guerre mondiali. L’elaborazione mitica di Hofmannsthal,
influenzata dal pensiero nietzschiano, parte dall’arcaico,
per poi sganciarsi da esso e rendere la vicenda ancora più terribile,
violenta, in un mondo senza dei, dove l’uomo è lasciato solo di fronte
ai suoi errori e alle sue colpe. Per questo motivo viene introdotto
il mitema della sua morte, preceduta da una danza dionisiaca, ossessiva,
eccessiva, che catalizza tutta la violenza,simbolo ed espressione
della gioia patologica della vendetta ma, allo stesso tempo,
celebrazione di un rito funebre.
Il ventesimo secolo non ha visto solo il ritorno in auge del mito e
della mitologia, ma ne è stato quasi ossessionato, soprattutto
nella cultura germanofona.
Nelle successive elaborazioni, infatti, il mito di Elettra è stato ripreso,
scomposto, ricomposto, modificato, isolato in alcuni mitemi,
completato da altri, ma la storia è rimasta in sostanza sempre la stessa,
illuminata da una luce diversa che, di volta in volta, ha messo
in evidenza o oscurato alcuni aspetti, senza mai stravolgere davvero l’essenza
più autentica che questo mito incarna: il dolore, la sete di vendetta,
ma anche la speranza della felicità.
Il tratto distintivo e comune alle opere della seconda metà del
Novecento è l’utilizzo della tecnica decostruttivista.
Il sovvertimento della struttura linguistica classica è il mezzo che gli autori
hanno utilizzato per rendere il mito di Elettra funzionale all’espressione
della speranza di cambiamento, della rivendicazione femminista,
del rifiuto della violenza e della guerra, della resa e della morte.
Angela Milella
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